La pianta dell’elleboro è una specie erbacea molto diffusa. Appartiene alla famiglia delle ranunculaceae. E’ una pianta perenne e la possiamo trovare in tutta Europa, nell'Asia Minore e nella zona del Caucaso. La caratteristica di questa pianta è il suo fiore, che è uno dei pochi a sbocciare in inverno e resiste alle temperature più alte. L’aspetto simile a quello della rosa canina e il periodo di fioritura (da dicembre a marzo) hanno fatto sì che in Italia l’elleboro fosse maggiormente conosciuto con la denominazione di "Rosa di Natale". Inoltre secondo la tradizione cristiana italiana si narra che le piante di elleboro nacquero nei pressi della stalla dove nacque Gesù.
Essendo un fiore invernale viene chiamato dagli inglesi christmas flower che lo considerano il fiore natalizio per eccellenza. In Francia, invece, viene chiamato rose de nöel, mentre in Germania è popolarmente conosciuto con due nomi christrose o schneerose.
Il nome Elleboro deriva dal termine greco elleboros, che è un termine formato da due parole che tradotte significano far morire e nutrimento, tale nome lo si deve alle sostanze contenute nella pianta, infatti, l’elleboro è una pianta altamente velenosa e dalle proprietà allucinogene. Tutte le parti della pianta sono tossiche, per cui è sempre bene evitarne il contatto diretto sia per l’uomo che per gli animali.
Questa pianta velenosissima fu protagonista in età antica della prima guerra chimica documentata da numerosi storici contemporanei ai fatti.
“All’inizio del VI sec. a. C., in Grecia, la Lega anfizionica di Delfi si scontrò con la città di Kirrha, sulla costa Nord del Golfo di Corinto. Kyrrha infatti era solita sconfinare nelle terre di Delfi e aggredire e derubare i pellegrini che attraversavano il suo territorio per recarsi al santuario. La Lega quini bloccò il porto di Kyrrha con la sua potente flotta e assediò la città, che però resisteva. A un certo punto fu scoperta per caso una conduttura segreta di acqua che approvvigionava la città; un medico consigliò gli alleati di avvelenare l’acqua con l’elleboro, cosa che fu fatta facilmente, perché la pianta cresceva in quantità sulle alture circostanti. I difensori, indeboliti o uccisi dal veleno, non poterono più resistere e Kyrrha fu presa e distrutta.”
Gli ellebori sono piante facilmente riscontrabili in natura, spesso ai margini dei boschi collinari, in zone semi-ombreggiate e abbastanza umide, spesso sul greto di piccoli corsi d'acqua stagionali.
Le foglie sempreverdi sono coriacee e di un verde scuro. Questa pianta cresce fino a circa 40 cm di altezza e conta circa 25-30 specie di perenni.
I colori dell'elleboro sono generalmente il bianco ed il porpora, ma esistono varietà con fiori delicatamente rosati, verde e crema.
Le leggende sull’elleboro sono varie e raccolgono da diversi miti.
Il mito greco parla di Melampo figura della mitologia, conosciuto e apprezzato per saper parlare con gli animali, ma soprattutto per essere un guaritore. Un giorno guarì dalla follia il figlio del re di Tirinto mescolando delle foglie di Elleboro a dell’acqua. Un esempio di tale credenza lo si riscontra anche nel poeta Orazio (65 a.C. – 8 a.C.) il quale consigliava di recarsi sull’isola di Anticitera (isola greca tra Creta e Cerigo), luogo in cui cresceva l’elleboro, per curare le turbe causate dalla pazzia.
Secondo un’altra leggenda, inoltre, si narra che con la medicina ricavata dall’elleboro furono guarite dalla pazzia le figlie di Preto, re di Argo, che credevano di essere state tramutate in vacche.
Sia gli antichi Greci che i Romani, per indicare i folli usavano la frase “hai bisogno dell’Elleboro”, oppure “Va’ a Antikyra”, località dove l’Elleboro cresceva abbondante.
Ancora oggi questa pianta viene utilizzata in India dove la si brucia accanto al letto delle partorienti affinché lo spirito degli dei entri nella mente del neonato e il parto diventi più veloce.
Nel linguaggio dei fiori e delle piante l’elleboro rappresenta il fiore sacro a Dio ma nel corso dei secoli, visto l’effetto che la pianta essiccata procurava sulle persone, ha assunto anche il significato di liberazione dalle pene.
Alfin t'ho scorto, desiato fiore,
Al fin piangente chiederti potrò
che tu lenisca il barbaro dolore
che i ridenti giorni avvelenò.
Chè tu cresci qual me: negletto e solo
vesti l'ajuole che l'algor sfiorì,
qual me, che in mezzo allo sconforto e al duolo
trascorro solitario i mesti dì.
A te, povero Elleboro montano,
veder non lice dell'estate il sol,
non lice a me di stringer quella mano
che tanto mi fu prodiga di duol.
Ahi pazzo! troppo in alto collocai
la mia fè, la mia speme, il mio desir.
Ahi pazzo! Che in amor non ricordai
esser lungo il penar, breve il gioir.
La mia mente vacilla e l'intelletto
s'oscura; abbi tu, o fior, di me pietà,
appresta alle mie labbra il succo eletto
che nelle foglie tue celato sta.
Sanami, o almeno sulla tomba mia
schiudendoti del sol ai raggi d'or,
addita a lei, come per lei morìa
non un pazzo, ma un martire d'amor.
Pietro Gori (Messina, 1865 – Portoferraio, 1911)
Fonti:
www.giardinaggio.it/giardino/piante/helleboro
www.portaledelverde.it/blog-giardinaggio
ilgiardinodeltempo.altervista.org/elleboro-storia-
www.verdiecontenti.it/elleboro-miti-e-leggende/
www.giardinaggio.it/poesie/elleboro
www.potterpedia.it/
(foto pixabay)