ZINO PENSIERO - LO ZOLFO E "L'AUTOBIOGRAFIA CAMUFFATA" IN LUIGI PIRANDELLO Aragona e il suo sottosuolo ricco di zolfo, come altre zone della provincia di Agrigento, non è il luogo di nascita di Luigi Pirandello, ma lo può diventare per cooptazione, se si tiene conto della scelta imprenditoriale della famiglia Pirandello e della prima esperienza giovanile di Luigi: quella a cui lo aveva forse indirizzato il padre che gestiva fiorenti miniere di zolfo. Stefano Pirandello, uomo molto pratico e dispotico, non accettava di buon grado la frenesia artistica del figlio: avrebbe voluto che seguisse le sue orme. Pirandello, così, per un certo periodo della sua adolescenza respirò a pieni polmoni l’alito greve dello zolfo presso la Miniera Taccia Caci di Aragona e nel molo di Porto Empedocle, dove lo zolfo, estratto e solidificato dopo il processo di separazione dalla pietra, veniva ammassato in attesa delle spigonare che lo avrebbero caricato sulle ingombranti navi da trasporto che non potevano attraccare nel molo di Porto Empedocle. Lo zolfo rimane metaforicamente impresso nei polmoni e nelle narici, ma anche e soprattutto nella memoria, che si fa poi storia, rievocazione di una realtà esterna e delle ripercussioni interiori che questa realtà produce. Nella sua vicenda personale, che comprende il suo rapporto con lo zolfo, consiste una autobiografia camuffata di Pirandello. Ne “I vecchi e i giovani” e nelle numerose novelle riguardanti il tema dello zolfo, Pirandello racconta il suo rapporto personale e familiare con l’oro giallo: le difficoltà e la pericolosità della estrazione del minerale; la gestione impegnativa di quelle che ora si chiamano “risorse umane”, cioè i lavoratori; gli intrecci passionali; le carriere politiche; i conflitti familiari irrisolti; l’imprenditorialità e il suo fallimento; la rischiosa opera di proselitismo e di riscatto delle nascenti organizzazioni del lavoro, viste dall’interno attraverso la figura del Principe-Socialista, Lando Laurentano, alias, nella storia, Alessandro Tasca di Cutò, zio, per via materna, del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Insomma “I vecchi e i giovani”, assieme alle novelle, rappresentano una efficace presenza di una “camuffata” esperienza autobiografica, se è anche corretto, nel romanzo, identificare nel personaggio di Antonio Del Re, lo stesso Luigi Pirandello. Così non è difficile individuare un’attenta osservazione della vita in una miniera in un giovane Pirandello che si sofferma a descrivere la triste e pericolosa esistenza degli zolfatari nelle viscere della terra alla ricerca dell’oro giallo. Così succede in maniera esplicita e circostanziata nella novella “Il fumo”, pubblicata nel 1904. “Appena gli zolfatari venivan su dal fondo della “buca” col fiato ai denti e le ossa rotte dalla fatica, la prima cosa che cercavano con gli occhi era quel verde là della collina lontana, che chiudeva a ponente l’ampia vallata. Qua, le coste aride, livide di tufi arsicci, non avevano più un filo d’erba, sforacchiate dalle zolfare come da tanti enormi formicaj e bruciate tutte dal fumo. Sul verde di quella collina, gli occhi infiammati, offesi dalla luce dopo tante ore di tenebra laggiù, si riposavano. A chi attendeva a riempire di materiale grezzo i forni o i “calcheroni”, a chi vigilava alla fusione dello zolfo o s’affaccendava sotto i forni stessi a ricevere dentro ai giornelli che servivano da forme lo zolfo bruciato che vi colava lento come una densa morchia nerastra, la vista di tutto quel verde lontano alleviava anche la pena del respiro, l’agra oppressura del fumo che s’aggrappava alla gola, fino a promuovere gli spasimi crudeli e le rabbie dell’asfissia.” (L. Pirandello, Tutte le novelle, a cura di Lucio Lugnani, Il “fumo”vol. I, p. 992). Zino Pecoraro ( Apparso anche su Facebook e su La Sicilia del 29 settembre.)
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