marzo 2007
GLI ANIMALI E I CAMBIAMENTI CLIMATICI
La capacità di adattamento a nuove condizioni ambientali è una delle caratteristiche che ha permesso alle specie animali di sopravvivere ai numerosi cambiamenti climatici avvenuti nel corso dei millenni di storia della Terra. L’attualità ci mette di fronte ad una situazione particolare in cui, a causa dell’inquinamento e dell’effetto serra, le modificazioni ambientali “fisiologiche” del nostro pianeta hanno accelerato il loro divenire rendendo più difficile un processo di adattamento adeguato da parte degli animali.
Ogni essere vivente risente più o meno di questi cambiamenti, ma in alcune specie particolarmente sensibili l’innalzamento delle temperature sembra essere responsabile di comportamenti singolari e anomali. Sono svariate le conseguenze accertate che l’incremento delle temperature ha avuto o potrà avere sugli animali. Tra queste ricordiamo il risveglio anticipato delle specie che vanno in letargo o trascorrono comunque il periodo invernale in uno stato di diapausa, il progressivo spostamento verso nord dell’areale di distribuzione, la maturazione precoce di molte piante, fonte primaria di cibo per numerose specie animali e l’aumento del numero di generazioni in alcuni gruppi di insetti.
Durante il periodo invernale animali come orsi, marmotte, scoiattoli, ghiri e molti altri, si rintanano in luoghi appartati dopo essersi procurati una buona scorta di provviste; durante questa fase cadono in uno stato di torpore più o meno accentuato che normalmente viene interrotto dal primo caldo primaverile. Se però nei mesi invernali le temperature subiscono repentini incrementi e raggiungono valori molto superiori alle medie stagionali, può accadere che diversi individui si risveglino ed escano in cerca di cibo. Così è accaduto nel Parco del Gran Paradiso, dove alcuni anni fa, le marmotte sono comparse prima della fine di febbraio, o nel Parco Adamello Brenta, dove recentemente una mamma orsa con i suoi cuccioli è comparsa al fianco delle piste da sci di Madonna di Campiglio, tra la sorpresa e lo stupore degli sciatori.
Negli insetti e in molti organismi acquatici il periodo di “torpore” invernale corrisponde alla diapausa, fase in cui l’animale arresta la maggior parte dei processi fisiologici e di sviluppo in attesa di condizioni climatiche favorevoli e di una maggiore disponibilità di cibo. Numerosi studiosi hanno evidenziato che quest’anno la mancanza di neve e l’eccezionale caldo hanno indotto alcune farfalle, che normalmente trascorrono l’inverno allo stato di crisalide, a completare la metamorfosi e sfarfallare prima del dovuto. Così nei campi di montagna non ancora fioriti sono comparse le prime vanesse dell’ortica, destinate comunque a sfalsare il loro ciclo vitale e a morire precocemente al primo brusco abbassamento delle temperature.
Altre specie di farfalle e di insetti hanno invece spostato il loro areale di distribuzione verso nord: dal sud e dal centro Europa si sono trasferite in aree più settentrionali, lontane anche alcune centinaia di chilometri, ritrovando in quei luoghi condizioni più favorevoli e idonee alla loro sopravvivenza.
In molti animali lo spostamento dell’areale è avvenuto invece verso altitudini maggiori: è stato osservato che in questo inverno, ad esempio, la mancanza di neve alle alte quote ha spinto diversi ungulati come stambecchi e camosci a salire verso i pascoli che normalmente frequentano nel periodo estivo. Non è da escludere però che all’arrivo della prima neve gli individui più anziani e quelli più giovani possano trovarsi in difficoltà, rischiando di soccombere di fronte a situazioni difficili da affrontare.
Anche le popolazioni di renne e caribù del Nord Europa sembrano risentire dei cambiamenti climatici. Le zone di vegetazione a tundra, nelle quali essi trovano di cui nutrirsi, stanno gradualmente scomparendo dalle zone più meridionali, costringendo questi animali a compiere tragitti sempre più lunghi verso nord alla ricerca del cibo; questo incrementato dispendio energetico potrebbe essere alla base della riduzione del tasso riproduttivo osservato in alcune popolazioni di questi animali.
La perdita o l’assottigliamento della copertura di ghiaccio ai poli sta, invece, causando seri problemi alla sopravvivenza dell’orso polare, che utilizza lo strato di pack per potersi spostare da un’area all’altra e per tendere agguati alle foche; la riduzione dello strato di ghiaccio rappresenta una minaccia per le stesse foche che lo sfruttano per dare alla luce e crescere i loro piccoli.
Molti uccelli sono stati influenzati in maniera evidente dalla ridotta stagionalità degli ultimi anni; sono numerose infatti le specie che, una volta, al sopraggiungere dei primi freddi autunnali iniziavano lunghe migrazioni alla ricerca del caldo e del cibo nei territori meridionali, e che oggi invece non migrano più. Le temperature negli areali di nidificazione non sono più così proibitive tanto che essi preferiscono restare in questi luoghi piuttosto che affrontare i pericoli di una lunga migrazione. Aironi, cicogne, ibis sacri e molti passeriformi sono così diventati stanziali. Altri, invece, hanno modificato il loro areale di distribuzione: è il caso del pettirosso che si sta spostando sempre più verso nord, in aree dove non era mai stato osservato prima. Per quelli che ancora migrano invece le conseguenze più evidenti dei cambiamenti climatici sono un anticipo delle date di migrazione, partenza e arrivo, e soprattutto del periodo di deposizione delle uova; non è da escludere che questi cambiamenti possano comportare problemi per il loro ciclo vitale e per quello delle prede e dei predatori che condividono gli stessi ecosistemi.
Uno sfasamento temporale tra un predatore e la sua preda sembra essere una delle principali cause del declino di molte specie di uccelli; secondo alcuni studiosi, infatti, se l’arrivo di alcune specie migranti non coincide più con il picco di disponibilità di risorse alimentari fornito dalle prede, viene a mancare la loro fonte di sostentamento e quindi si riducono le probabilità di sopravvivenza di questi uccelli.
Per quanto riguarda gli ecosistemi marini, secondo alcune stime il previsto innalzamento delle acque, indotto dallo scioglimento dei ghiacci polari, porterà alla scomparsa di aree costiere e lagunari dove molti animali, in particolar modo gli uccelli, trovano le condizioni ideali per vivere e riprodursi. Anche la temperatura del mare viene e verrà influenzata dai cambiamenti climatici. E’ ormai noto che da diversi anni il Mediterraneo si sta lentamente tropicalizzando, ovvero l’aumento delle sue temperature medie favorisce l’ingresso e la colonizzazione di specie “aliene” provenienti dai mari tropicali, in particolar modo dal Mar Rosso, attraverso il Canale di Suez. Molte specie, dette lessepsiane, dal nome dell’ingegnere Ferdinand de Lesseps che progettò tale opera, si avventurano e si stabilizzano nel bacino mediterraneo, andando ad occupare nicchie ecologiche una volta riservate alle specie proprie di questo mare. Così il pesce balestra e il pesce pappagallo, sono diventate ormai presenze comuni nei nostri mari. Alcuni studiosi ipotizzano che l’innalzamento della temperatura dell’acqua porterà anche ad una minore disponibilità di cibo negli strati superficiali, rallentando il tasso di crescita e di riproduzione di molte specie; il salmone, lo storione e il pesce gatto, ad esempio, sono specie che si riproducono in un preciso periodo dell’anno, solo se l’acqua scende ad una determinata temperatura. Un surriscaldamento superficiale indurrebbe perciò molte specie ad occupare zone più profonde della colonna d’acqua, alla ricerca di condizioni migliori per sopravvivere e riprodursi.
Anche i grandi cetacei, come balene e balenottere, sono minacciati dalle mutevoli condizioni ambientali provocate dal comportamento bizzarro del clima. Uno studio di alcuni ecologi americani, ad esempio, ha dimostrato che i cambiamenti climatici sono uno dei principali fattori di rischio di estinzione per le balene franche dell’Atlantico del Nord. Le condizioni atmosferiche invernali infatti influenzano fortemente le acque oceaniche e, di conseguenza, la disponibilità dei piccoli crostacei di cui questi giganti marini si nutrono. L’estrema variabilità delle condizioni di queste acque, indotte dal comportamento anomalo del clima negli ultimi anni, rischia quindi di compromettere la sopravvivenza di questi magnifici animali.
È stato calcolato che, a causa dei cambiamenti climatici e della distruzione degli habitat da parte dell’uomo, sono a rischio un terzo degli anfibi e dei rettili, un mammifero su quattro e una specie di uccelli su otto. La sopravvivenza di molte specie animali dipenderà dalla loro abilità di adattarsi velocemente alle nuove condizioni ambientali che si andranno formando e soprattutto dal comportamento che l’uomo saprà tenere nei confronti di una natura che un giorno gli si rivolterà contro.
Il presente articolo verrà pubblicato sul numero di aprile 2007 della rivista mensile di montagna “Monte Bianco”.
Gianluca Ferretti