LA CONDIZIONE DELLA DONNA IMMIGRATA che va avanti senza nemmeno avere qualcuno su cui contare...” Chico Buarque de Hollanda/ Garoto/Vinicius de Moraes Una volta mi sono vista davanti a una scena banale e, allo stesso tempo, tra le più nitide possibili. Era sera, stavo uscendo dalla scuola che frequentavo da un anno, organizzata da volontari per insegnare la lingua alle donne che arrivavano nel nuovo paese. Era un posto per immigrate, senza distinzione di livello sociale, culturale, razza, età, religione. Un luogo di vera ospitalità: dal canto al ballo, consigli sulla salute, indicazioni sulle particolarità locali di formalità e informalità, dal sorriso all'ingresso alla serietà dell'insegnamento della nuova lingua, così accoglievano le donne. Un modo per ridurre la solitudine estrema. Si potrebbe dire che era come un continente speciale in cui circolavano tante e tante nazionalità. Donne provenienti da Ucraina, Russia, Costa d'Avorio, Brasile, Eritrea, Etiopia, Sudan, Pakistan, Argentina, Senegal, Tanzania, Filippine, Sudafrica e altri paesi, tutte spinte dai motivi che hanno creato le loro nuove braccia e gambe. Erano come adulte appena nate in quest'altro luogo – senza nemmeno l’idea di chiedere aiuto. Muoversi in un terreno sconosciuto richiede molta forza e abilità, compresa l'attenzione a dove "mettere il piede". Codici e codici devono essere appresi ogni giorno. A poco a poco si formavano legami nel gruppo e le risate diventavano più facili. Il passato non veniva approfondito, c’era solo il racconto di piccoli frammenti: fuga dalle guerre, fuga dalla fame, fuga per motivi politici o religiosi. Sembrava che raccontare la propria storia fosse rischioso e facesse perdere una parte di sé. La comunicazione era asettica. Seguendo riga per riga il nuovo linguaggio, tutti hanno scritto il presente e l'idea del futuro. Quando, ogni tanto, qualcuno riferiva che il motivo dell'immigrazione era stato un incontro, una storia d'amore, ad ogni parola detta apparivano sguardi sognanti, espressioni adolescenziali sostituivano volti seri e tesi. Erano tutti commossi da ciò che chiamavano destino, anima gemella, fortuna, cospirazione dell'universo o dalla forma religiosa di cui si fidavano come fonte di intervento. È stato delizioso vedere in modo così esplicito quanto sia bello sognare e che, qualunque cosa accada, una donna è sempre disposta a sognare. Ecco la forza dei cromosomi XX. Quel tardo pomeriggio terminò l'ultima lezione del semestre. Vacanza. Ci siamo salutate. Ho camminato da sola lungo il marciapiede verso la fermata dell'autobus che mi avrebbe riportato a casa. Tra pensieri e riflessioni, ho dimenticato di prestare attenzione a dove mettevo il mio piede. Questa volta era reale. E all'improvviso ho fatto uno di quei classici passi di danza, o meglio un'esplosione di polka, che ha mostrato perché ossa e muscoli sono venuti al mondo. La scivolata è stata violenta. Improvvisamente, avevo un piede a nord e un piede a sud, il ginocchio attaccato a una pietra. Tutto il corpo era attorcigliato in modo tale che se ci fosse stato un esorcista nelle vicinanze, avrebbe subito iniziato il rituale di liberazione. Molti sono passati senza interessarsi al balletto, tanto meno alla presunta ballerina. Una signora elegante si è fermata, mi ha guardato velocemente e ha guardato a lungo il marciapiede. Con gli occhi fissi a terra, ha additato il colpevole, ha accusato il responsabile e ha previsto il futuro. La colpa è del marciapiede, il responsabile è il sindaco e in futuro molti altri cadranno nello stesso punto. Si è voltata e è andata via con la sua andatura elegante. Sono rimasta un secondo a pensare all'importanza di un dialogo con il marciapiede. Non ho riso perché non era il momento di ridere. Mi sono alzata con molta fatica. Il ginocchio sinistro sanguinava, la caviglia non era in linea con il resto della gamba, i due polsi, più solidali tra loro, cercavano di tornare al loro solito posto. In quel momento ho commentato guardando per terra: il colpevole era il mio piede destro che non era d'accordo con il marciapiede. E così ho assolto il passato e il futuro. La situazione non era affatto filosofica. Addio Aristotele, Platone, Socrate, Saussure. Camminavo, se così si può dire da come mi muovevo, con il piede destro che toccava delicatamente il suolo e il sinistro che zoppicava in modo teatrale. Il sangue, discreto, scendeva rassegnato dal ginocchio sinistro e parcheggiava sulla caviglia, già gonfia. Sembrava quasi una crisi politica: la sinistra ha pagato col sangue l'errore della destra. Seduta all'interno dell'autobus e cercando di trovare la spiegazione corretta di quello che mi era successo, ho provato a parlare con i miei figli, che vivevano a diecimila chilometri di distanza. Il più grande ha risposto e sempre molto creativo, ha iniziato proprio con la traduzione. Mi ha chiesto se, per caso, avevo detto una parolaccia durante il balletto sul marciapiede. Ho risposto di sì. Ha continuato: in che lingua? Era nella lingua locale. Con calma mi ha detto: hai visto quanto è utile studiare la lingua del paese in cui vivi adesso? C'era molto da imparare e da capire in questo apparentemente piccolo scherzo. Sono inciampata da sola, mi sono alzata da sola e ho camminato da sola, adattandomi al disastro per raggiungere l'obiettivo di quel momento: entrare in casa. Senza tralasciare le parolacce nella lingua locale. Tra la caduta, il colpevole, la storia d'amore, l'intemperanza lessicale, il balletto, le fughe, non c'è spazio e tanto meno tempo per la timidezza, la stanchezza, le difficoltà o l'autocommiserazione. Metaforicamente e letteralmente, provenendo tutte da così tanti luoghi diversi, stavamo cercando di raggiungere l'obiettivo che ci ha rese migranti. Con quella conclusione, non ho girato la testa, ma il pensiero. In quel luogo dove circolavano tante, ognuna con un bagaglio diverso in cui variavano sia i motivi che i colori della bandiera, c'era un legame unico tra tutte loro, tra tutte noi. C'è una condizione che sorge molto prima: il Coraggio. Il Coraggio di sognare senza perdere la lucidità della responsabilità o la responsabilità della lucidità. Questa è la condizione sine qua non per muovere non solo ognuna di noi, ma per muovere il mondo. Ancora: ecco la forza dei cromosomi XX. Come disse Simone de Beauvoir: “Non si nasce donna. Si diventa." (testo estratto e adattato dal libro A PRIMEIRA DOR) Leda Rezende
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